Approccio comportamentale cognitivo ad indirizzo costruttivista. Dalle tecniche al significato: perché ho scelto la psicoterapia costruttivista
In psicoterapia esistono molti indirizzi teorici: ognuno guarda alla mente umana da una prospettiva diversa. Gli ingredienti della terapia vengono dosati a proposti in maniera differente a seconda di queste diverse visioni, pur mantenendo un’efficacia terapeutica in ogni caso.
In estrema sintesi potremmo dire che l’approccio psicoanalitico esplora l’inconscio e le dinamiche relazionali profonde derivanti dal passato; il sistemico-relazionale si concentra sui legami e sui ruoli all’interno delle relazioni familiari, non vede il paziente come unico sofferente ma si sofferma su dinamiche , interazioni, aspettative vissute all’interno delle relazioni significative; l’umanistico-esistenziale valorizza l’autenticità e la ricerca di senso e la coerenza tra l’identità e ciò che si desidera sulle scelte, facilitando l’incontro con sè stessi in maniera autentica.
Ogni terapeuta in formazione basa la scelta dell’orientamento da seguire su fattori diversi. Nel mio caso ho scelto un approccio Cognitivo-Comportamentale a forte impronta costruttivista. Ho scelto in base alla mia propensione stilistica naturale di conduzione del colloquio e alla potenzialità terapeutica che ho ritenuto maggiore in questo approccio per due fattori; la sua capacità di agire su più fronti del malessere e della storia di vita e per la possibilità di restare sempre molto coerenti con i tempi moderni grazie al contenuto costruttivista del metodo.
Cosa significa terapia cognitivo-comportamentale.
Il cognitivismo e il comportamentismo, due filoni teorici sviluppati soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, sono alla base della nascita di molte scuole contemporanee, a cui hanno portato un grande contributo scientifico:
hanno insegnato a osservare come pensieri, emozioni e comportamenti siano interconnessi, e come intervenire su questi processi possa modificare il modo in cui viviamo la realtà.
In questi modelli, l’obiettivo principale è individuare e modificare schemi di pensiero disfunzionali che mantengono la sofferenza psicologica.
Nel tempo, però, il cognitivismo si è evoluto.
Da un’idea di “correzione del pensiero” si è passati a una prospettiva più complessa: il costruttivismo.
Qui non si tratta più di stabilire cosa sia vero o falso, razionale o irrazionale, ma di comprendere come ciascuno costruisce il proprio mondo di significati.
Il terapeuta non interpreta, ma dialoga: aiuta la persona a esplorare il proprio modo di conoscersi, a dare un senso nuovo alla propria esperienza, a riconoscere il valore dei sintomi come segnali di passaggi evolutivi.
La psicoterapia, così, diventa un processo di conoscenza reciproca e trasformativa, in cui terapeuta e paziente co-costruiscono nuove narrazioni di sé.
Non si tratta di “aggiustare” ciò che non va, ma di ritrovare coerenza e libertà nel modo di raccontarsi.
Questa visione coincide con la mia idea di terapia: secondo me, non deve essere “difficile” dialogare con il terapeuta che insegna parole e tecniche complesse ma deve essere la terapia in grado di integrarsi nella relazione e nella comunicazione a quelli che sono i termini delle normali conversazioni moderne mantenendo un’efficacia. Soprattutto il concetto alla base del processo che nel costruttivismo esclude ogni forma di giudizio e auto-giudizio permette di comprendersi e di cambiare se conveniente, avendo la percezione che questo non significa diventare qualcun altro, ma conoscersi meglio, narrare e rinarrare la propria storia per sentirsi liberi di e scegliere come continuarla.
Perché spiegare gli indirizzi?
Perché scegliere un terapeuta non significa trovare “la tecnica giusta”, ma trovare una cornice che risuoni con il proprio modo di vivere la vita.
Gli approcci sono strumenti. La differenza la fa la persona che li usa — e la relazione che si crea.
