La genitorialità è uno dei compiti evolutivi più trasformativi della vita adulta. Non è un ruolo fisso, ma una funzione che si modifica continuamente, adattandosi alle esigenze dei figli, alle condizioni della coppia e alle sfide che emergono lungo il ciclo di vita.
Per questo la terapia può essere un sostegno prezioso non soltanto nei momenti di crisi, ma anche durante quei passaggi “normali” che ogni famiglia sperimenta, seguendo le naturali trasformazioni delle dinamiche familiari e offrendo contenimento nei momenti in cui tutto sembra più fragile.

La letteratura scientifica è molto chiara su un punto: il benessere della coppia genitoriale (sia convivente che separata) rappresenta uno dei fattori protettivi più forti per lo sviluppo psicologico dei figli. La terapia è uno spazio che permette di rafforzare le funzioni emotive, relazionali e cooperative che sostengono questo equilibrio e che non dovremmo mai dare per scontate.

La prospettiva del ciclo di vita mostra bene come, anche quando tutto procede “come previsto”, le transizioni richiedano una riorganizzazione interna. Accade fin dall’inizio, già nella trasformazione da coppia a famiglia, quando si percepisce molto chiaramente quanto profonda sia la riorganizzazione emotiva, relazionale e identitaria. È un salto di vita che cambia i ritmi, i bisogni e il modo stesso in cui ci si pensa come individui e come partner.

Anche la fase dei cosiddetti “terribili due”, che poi non sono altro che l’oppositività fisiologica con cui il bambino inizia a differenziarsi, mette in movimento la struttura familiare. Il piccolo esplora limiti, autonomia, desideri e frustrazione; i genitori devono continuamente ritararsi, collaborare sulle regole, contenerlo e contenersi. E questo, nella quotidianità, può essere davvero sfiancante, soprattutto quando arriva a intaccare la qualità del tempo condiviso nel resto della giornata.

L’ingresso alla scuola dell’infanzia o primaria porta con sé un’altra serie di piccoli terremoti emotivi: le separazioni quotidiane, le prime difficoltà sociali, la richiesta di maggiore autonomia. Sono fasi che, pur essendo apparentemente “normali”, sono spesso impattanti sia per il bambino che per la coppia genitoriale. Essere consapevoli di come questi eventi agiscono sul proprio umore e sul proprio modo di reagire permette di ridurre quella sensazione di vivere dentro una perenne emergenza, in cui diventa difficile trovare momenti di reale rilassamento.

Anche la preadolescenza e l’adolescenza richiedono un’attenzione particolare. Qui i conflitti, le richieste di libertà e i cambiamenti improvvisi possono far emergere divergenze educative nella coppia. È un capitolo talmente complesso — e così fortemente influenzato dalla presenza del digitale e dalle nuove forme di comunicazione — che meriterebbe uno spazio completamente dedicato.

L’ultima grande trasformazione arriva quando il figlio entra nella giovane età adulta e inizia a spiccare il volo. Non serve una perfetta autonomia — che esiste solo in teoria — perché questo passaggio sia emotivamente forte. L’uscita di casa, o anche solo il desiderio crescente di indipendenza, porta con sé una ridefinizione dei ruoli, delle identità e del modo stesso in cui si resta famiglia. Spesso coincide inoltre con un momento in cui il genitore sta attraversando una fase di progressivo ritiro lavorativo o sociale, creando un intreccio complesso di cambiamenti da integrare.

La terapia sostiene la coppia e anche il singolo genitore nel restare allineati, nel gestire lo stress e le differenze di stile educativo, nel mantenere una base stabile su cui il figlio possa continuare ad appoggiarsi mentre cresce.

Accanto alle transizioni fisiologiche esistono poi momenti che rendono la vulnerabilità ancora più evidente e che richiedono strumenti per essere attraversati. I percorsi di procreazione medicalmente assistita, ad esempio, mettono sotto pressione la coppia e la mente tanto quanto il corpo. Le procedure, gli accertamenti, i tempi di attesa e di sospensione emotiva sono esperienze che si vivono intensamente ben prima del concepimento. Lo stesso vale per le complicazioni della gravidanza, o per i vissuti del periodo perinatale, che possono riguardare tanto il bambino quanto la madre. Il distress genitoriale può essere presente fin dall’inizio, anche quando convive con entusiasmo e desiderio.

La depressione post partum, sia femminile che maschile (meno conosciuta, ma altrettanto reale), spesso assomiglia a qualcosa che ruba la felicità tanto attesa. Colpisce il genitore che ne soffre, ma inevitabilmente si estende alla relazione di coppia e alla relazione genitoriale. In questi casi la terapia individuale o di coppia diventa un luogo di contenimento e di ricostruzione, capace di mantenere unità e senso di vicinanza quando la fragilità sembra aprire spazi di distanza.

In qualunque fase della crescita del figlio, la terapia aiuta a evitare quella polarizzazione dolorosa del “genitore buono contro genitore cattivo”, che spezza l’unità della coppia e indebolisce la capacità educativa. Questo è particolarmente importante quando il figlio presenta bisogni specifici, quando è neuro-divergente o ha differenze sensoriali che richiedono maggiore organizzazione e sensibilità. La terapia aiuta a comprendere il funzionamento del bambino, a sostenersi reciprocamente e a ritrovare una cooperazione più serena.

La ricerca psicologica offre due grandi linee di evidenza che spiegano perché la terapia faccia la differenza. La prima riguarda la capacità riflessiva del genitore. Fonagy ha mostrato che uno dei fattori protettivi più importanti per il bambino è proprio la capacità del genitore di comprendere i propri stati mentali e quelli del figlio. È quella funzione che permette di riconoscere le emozioni, di rispondere in modo sensibile, di distinguere ciò che appartiene al genitore da ciò che appartiene al bambino e di collaborare con l’altro genitore invece di entrarci in collisione. Tutti conosciamo, in fondo, quel momento della giornata in cui la mente è stanca e la capacità riflessiva si abbassa: è lì che emergono risposte impulsive, reazioni disorganizzate e maggiori conflitti.

La terapia serve proprio ad ampliare e stabilizzare questa capacità, cambiando in profondità la qualità della relazione con il figlio e quella nella coppia genitoriale.

La seconda linea di evidenza riguarda gli interventi specifici sulla genitorialità, come quelli basati sul video-feedback. Qui la ricerca mostra che lavorare sulle interazioni concrete tra genitore e bambino aumenta la sensibilità genitoriale, migliora la qualità dell’attaccamento, riduce i comportamenti problematici e lo fa in contesti molto diversi e in un numero relativamente ridotto di incontri. Tutto questo conferma qualcosa di fondamentale: la relazione genitore–bambino può cambiare, può migliorare e può diventare un luogo più sicuro anche se si parte da un periodo di fatica.

In sintesi, quando i genitori sono più regolati, più uniti e più consapevoli, i bambini crescono più sicuri. E le famiglie diventano più stabili e capaci di attraversare con coraggio le trasformazioni inevitabili della vita.

Bibliografia citata:

The Capacity for Understanding Mental States: The Reflective Self in Parent and Child and Its Significance for Security of Attachment. Infant Mental Health Journal, Vol. 12, No. 3, Fall 1991. PETER FONAGY, MIRIAM STEELE, HOWARD STEELE, GEORGE S. MORAN, ANNA C. HIGGITT.

Improving parenting, child attachment, and externalizing behaviors: Meta-analysis of the first 25 randomized controlled trials on the effects of Video-feedback Intervention to promote Positive Parenting and Sensitive Discipline.Development and Psychopathology (2023), 35, 241–256. Marinus H. van IJzendoorn1,2,3 , Carlo Schuengel4 , Qiang Wang5 and Marian J. Bakermans-Kranenburg6,7

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